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La vera cucina non è quella che si vede in tv

Da quando è andata in onda la prima puntata di Masterchef in Italia, nel 2011, la figura dello chef è cambiata radicalmente, così come tutto l’immaginario attorno al mondo della ristorazione. Prima il cuoco era spesso visto come un semplice artigiano del cibo, nascosto dietro le quinte dei ristoranti. Oggi, è diventato una vera e propria celebrità. Chef come  Antonino Cannavacciuolo, Carlo Cracco e Bruno Barbieri sono passati dall’essere noti solo tra gli addetti del settore all’essere delle vere e proprie star della tv e dei social media.

MasterChef, e non solo, ha portato le cucine professionali nelle case degli italiani, mostrando non solo la tecnica culinaria, ma anche la passione, la dedizione e le storie personali di chi decide di seguire questa strada. Una nuova prospettiva nel racconto del mondo della ristorazione che ha fatto appassionare milioni di persone e ha spinto molti giovani a considerare il mestiere del cuoco come una carriera possibile. Non può essere una coincidenza, infatti, che il boom di iscrizioni agli istituti alberghieri in Italia sia esploso dopo il 2013, ossia a ridosso del periodo di massima esplosione della popolarità di Masterchef. Si parla, addirittura, di un picco di ben  64.296 nuovi studenti in più rispetto alla media nell’anno scolastico 2014-2015.

Sono altrettanti però, i ragazzi che o non finiscono neanche la scuola o che alla prima esperienza in cucina si ritirano. Perchè? Perché si trovano a scontrarsi con la realtà e ad affrontare un mondo di cui non sanno nulla, molto diverso da quello che immaginavano.

La realtà della cucina professionale è molto diversa da quella mostrata in televisione: la TV ha il potere di comprimere ore di preparazione in pochi minuti, rendendo tutto più facile di quanto sia in realtà.  Da “MasterChef” a “Bake Off Italia”, sembra che qualsiasi piatto sia alla portata di tutti. Le ricette sembrano accessibili, i piatti sembrano replicabili.  Non vediamo, però, le ore passate in cucina, la pressione del tempo, le difficoltà logistiche. 

Anche per definirsi “chef” sembra bastino anche solo due mesi in un programma televisivo. Ma tutto ciò che sembra un gioco da ragazzi in TV è in realtà una sfida titanica.

Diventare uno chef non è una passeggiata. Richiede anni di formazione, pratica e dedizione. Dalle scuole di cucina alle cucine dei ristoranti stellati, gli chef devono imparare un’infinità di tecniche, conoscere gli ingredienti a memoria e saper gestire una cucina con maestria. Ma la formazione è solo l’inizio. Gli chef devono affrontare orari estenuanti, critiche feroci,  l’urgenza delle scadenze, fatica fisica e mentale e il costante bisogno di mantenere alti standard di qualità. È un percorso pieno di sacrifici personali, che spesso rimangono invisibili agli occhi del pubblico. Le vacanze non esistono, il tempo con la famiglia è ridotto al minimo, il riposo non esiste.

Fa sorridere tutti guardare Gordon Ramsay in Hell’s Kitchen lanciare pentole e utensili in aria e perdere le staffe. Ma nessuno si è mai chiesto quanta verità c’è dietro all’idea del programma e cosa porta uno chef ad arrivare a questi livelli di esaurimento. Molti potrebbero dire che è finzione. Eppure, a sentire i racconti di Davide Oldani al BSMT lo stress è stato sempre altissimo nei contesti in cui hanno lavorato insieme: “Eravamo martellati dall’entrata in cucina all’uscita, orari improponibili, pressione non sostenibile, 100 persone a pranzo e 120 alla sera per un ristorante a tre stelle, attese fuori per regolare i conti tra colleghi. Una pressione bestiale”.

Oltre al successo, alla fama, ai riconoscimenti e alle stelle. La vita dello chef è questa e non si può non considerare quando si decide di intraprendere una carriera nella ristorazione.

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